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(Cassazione penale, sentenza n. 13072 del 06/03/2017)

Affinché possa ritenersi sussistente il delitto di bancarotta fraudolenta documentale è necessario che il disordine documentale sia tale da rendere impossibile o, quanto meno, da ostacolare la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari da parte della curatela.

In tal senso non è possibile attribuire rilevanza alla commissione di un falso in bilancio poiché il bilancio di esercizio non rientra nella nozione di libri e scritture contabili prevista dall’art. 216 co. 1° L.F.

 Il caso.

La Corte d’Appello territoriale confermava la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di un amministratore unico di una s.r.l., dichiarata fallita, per il delitto di bancarotta fraudolenta  documentale, per avere tenuto i libri contabili e le altre scritture in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento d’affari.

Nello specifico, all’imputato veniva addebitata la redazione del bilancio d’esercizio, risultato non veritiero in ordine all’effettivo stato della società nonchè l’assoluta discordanza fra le fatture di acquisto annotate sul registro Iva e le fatture emesse nei confronti della società. Circostanza che avrebbe contribuito ad impedire la ricostruzione del movimento degli affari.

Presupposti della bancarotta fraudolenta documentale e “irrilevanza” del bilancio di esercizio: art. 2214 e 2217 c.c.

Nell’accogliere il ricorso, la Cassazione ribadisce il principio secondo cui il disordine documentale addebitabile all’imputato deve essere tale da rendere impossibile o quanto meno da ostacolare la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari da parte del curatore.

Inoltre, la Suprema Corte consolida il principio – espresso dalla medesima Sez. V con la sentenza n. 47683 del 04/10/2016- secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta documentale non può avere ad oggetto il bilancio di esercizio in quanto quest’ultimo non è ricompreso nella nozione di libri e scritture contabili prevista dall’art. 216 L.F.

A conferma di tale principio si richiama l’art.  2214 c.c., che è la norma   che   dà   contenuto   all’art.   216   L.F.,   la quale menziona, tra i libri obbligatori che l’imprenditore deve tenere quello giornale e quello degli inventari nonché le altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa (unitamente alle lettere, alle fatture e  ai  telegrammi  sia spediti che ricevuti).

Non viene menzionato il bilancio, che, in base all’art. 2217 c.c., si pone a chiusura dell’inventario ed è dunque distinto da quest’ultimo e non può rientrare nel novero dei documenti rilevanti ex art. 216 L.F., atteso che il suo scopo è quello di rappresentare la situazione patrimoniale e finanziaria della società oltre al risultato economico.

Elemento soggettivo: maggior rigore nell’accertamento.

La mancata contestazione di fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale richiede un accertamento più rigoroso del comportamento fraudolento del soggetto accusato di bancarotta documentale, in contrapposizione ad un’ipotesi di mera negligenza nella realizzazione della condotta.

La sussistenza dell’elemento soggettivo – dolo generico, nella forma del dolo intenzionale – non può essere desunto dal mero fatto che il disordine documentale sia tale da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari – elemento materiale del reato – tanto più quando l’omissione è contenuta in limiti temporali ristretti, quali quelli relativi ad un solo bilancio di esercizio.

In tale ipotesi è indispensabile accertare se l’imputato non abbia semplicemente trascurato la regolare tenuta delle scritture, omettendo di valutare le conseguenze della sua condotta, integrando in tale caso il meno grave reato di bancarotta semplice ex art.   217, II comma, L.F..

 Bancarotta fraudolenta da falso in bilancio ex art. 223 co. 2 L.F.: necessità del nesso causale tra falso e dissesto dell’impresa.

La Corte ribadisce, inoltre, che ai fini della punibilità ex art. 223, comma 2, n. 1, L.F.  la falsificazione del bilancio deve aver cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società.

In tal senso è necessaria la dimostrazione che la condotta di falso abbia avuto incidenza causale sulla verificazione dell’evento – inteso quale dichiarazione di fallimento o quantomeno quale stato di decozione della società.

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